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BAMBINI SOLDATO

I bambini soldato vengono sfruttati, ingannati o rapiti, reclutati come combattenti, messaggeri, rilevatori umani di mine e schiavi sessuali. La loro salute e la loro vita sono in pericolo e la loro infanzia sacrificata in nome di una guerra degli adulti.

300.000 bambini sono coinvolti in conflitti armati

La maggior parte di questi bambini provengono da famiglie povere. Alcuni bambini soldato si uniscono ai gruppi militari per la sopravvivenza, perché viene loro offerta l'opportunità di mangiare regolarmente e anche avere un reddito con cui possono sostenere la propria famiglia. Molti bambini invece vengono rapiti, o arruolati con l'inganno o la violenza.

I bambini soldato vengono educati a combattere, uccidere, commettere violenza. Vedono e vivono esperienze che mai un bambino dovrebbe vedere o vivere sulla propria pelle. E se non sono destinati a morire combattendo, questi bambini riportano gravi traumi a lungo termine, non solo fisici - come le mutilazioni, ma anche psicologici. Possono anche essere respinti dalla loro comunità, una volta terminata la guerra.

Giorno 3 dicembre 2015 in tutte le classi della scuola primaria di Sant’ Antonino dell’Istituto Comprensivo “Foscolo” così come anche negli altri due plessi scolastici, per il terzo anno consecutivo,dal gemellaggio con la scuola di Amadi, si è svolta la festa del dolce e del colore. Tutti i bambini della scuola, a gruppi, nelle prime ore di lezione,  hanno disegnato e colorato dei cartelloni da regalare ai bambini di Amadi. Contemporaneamente i tavoli della sala mensa sono stati addobbati con i dolci preparati dalle mamme; c'era di tutto: leccornie di ogni genere, biscotti, patatine e bibite. Ogni bambino, dopo aver degustato i dolci, ha messo  in un salvadanaio un'offerta che servirà a comprare del materiale didattico che sarà poi consegnato ai bambini di Amadi  nel Kongo, che si trova al centro dell’Africa. Alla fine della festa le maestre e gli alunni hanno consegnato i cartelloni e i soldi alla signora Carmen Falletta, Presidente dell’associazione Matumaini la quale ha scattato una foto ai bambini con in mano il cartellone, ringraziando tutti per essere stati molto solidali.

GEMELLAGGIO CON L' I.C. FOSCOLO DI BARCELLONA P.G. ME

Nella Repubblica Democratica del Congo si consuma nel silenzio una delle più gravi crisi umanitarie al mondo, con la guerra civile che ha causato, dal 1998 a oggi, oltre 4milioni di morti. Decenni di dittatura e sfruttamento indiscriminato delle risorse hanno ridotto le istituzioni allo sfacelo: lo Stato non è in grado di provvedere ai servizi sociali; molte famiglie sono sfollate verso le città, e in particolare verso la capitale Kinshasa, che oggi ospita oltre 10 milioni di persone in quartieri disastrati. Povertà e conseguenze del conflitto hanno condotto a una crescita esponenziale dei bambini di strada: agli orfani di guerra e ai bambini ex soldato se ne aggiungono ogni giorno altri, anche piccolissimi, cacciati da famiglie non in grado di sfamarli, mentre sempre più drammatico diviene il fenomeno dei bambini accusati di stregoneria, sotto l’influsso di predicatori ed esorcisti che proliferano nelle baraccopoli. Spaventose le violenze che i bambini subiscono in strada durante le retate della polizia e, sempre più spesso, dalle stesse comunità locali che, esasperate dalla miseria, vedono nei bambini di strada un mero fenomeno criminale. Nella sola capitale l’UNICEF stima vi siano più di 13.800 shegué, bambini e bambine di strada che sopravvivono di lavoretti nei mercati, elemosina e piccoli furti, ma spesso anche di prostituzione, attività illegali e altri espedienti.

BAMBINI DI STRADA

La Repubblica Democratica del Congo è un paese che paga ancora adesso gli anni di guerra e instabilità con un'economia disastrata e infrastrutture quasi inesistenti. La regione orientale del Paese è stata la zona più colpita con l’80% delle famiglie costrette a fuggire dalle loro case. Questo ha peggiorato l’accesso all’istruzione dei bambini, sia per la mancanza di strutture che per lo scarso numero di insegnanti qualificati rimasti nel paese.  Secondo il rapporto statistico di Unesco e Unicef, il traguardo dell'istruzione elementare per tutto il mondo entro il 2015 non è stato raggiunto. Ancora 58 milioni di bambini dai 6 agli 11 anni non vanno a scuola. Più della metà vive nell'Africa sub-sahariana. Disuguaglianza e povertà i problemi principali, ma anche i conflitti e le discriminazioni fanno la loro parte. La mancata scolarizzazione è diversamente distribuita sul territorio. Così in ambiente urbano un bambino in età scolare, che non ha ancora iniziato ad andare a scuola, ha buone probabilità di farlo un giorno o l’altro. Tutt’altra probabilità per chi nasce in una famiglia povera e in una zona rurale. In Nigeria ad esempio i 2/3 dei bambini poveri non va a scuola, ed il 90% di loro non ci andranno mai. Oltre a questo fattore fondamentale, altri cinque sono i maggiori ostacoli da superare: i conflitti e la violenza , le discriminazioni di genere, il lavoro minorile, l’uso delle lingue non materne che rendono difficoltoso l’apprendimento, le disabilità di diversa natura. Il secondo degli 8 “Obiettivi di Sviluppo del Millennio”, sviluppati dalle Nazioni Unite e condivisi dai 191 stati membri dell’ONU, è raggiungere l’istruzione primaria universale, ossia assicurare che, entro il 2015, tutti i bambini e ragazzi, sia maschi che femmine, possano terminare un ciclo completo di scuola primaria.

L’istruzione è, infatti, un mezzo indispensabile per interrompere il ciclo di marginalizzazione, povertà e violenza. Un elemento importante per dare a ogni individuo gli strumenti per costruire un futuro per sé e contribuire così allo sviluppo dell’intero paese.

Mani scure decorate con degli henné neri che corrono fino alla punta delle falangi. Dita consumate, piegate dall’artrite, logore da anni di duro lavoro; ecco come appaiono le mani delle donne  che ogni giorno si accingono a svolgere duri lavori nelle zone rurali del Paese. Se le osservi bene sono solcate da lunghe rughe, da spessi calli, dalle cicatrici, sono forti e robuste, ma allo stesso sono affaticate e invecchiano precocemente.

In questo Paese le donne costituiscono la vera anima della società nonostante la maggior parte di loro viva in una condizione difficile, discriminata e subalterna soprattutto nella società rurale.

Esse vengono riconosciute a livello sociale solo dopo che si sono sposate e hanno dato alla luce il loro primo figlio, ma il loro ruolo nel nucleo familiare rimane lo stesso subalterno al marito e solo in seguito, con la menopausa, acquisiscono maggiore autorità all’interno della famiglia. L’emancipazione femminile, soprattutto quella economica, è molto difficile in quanto la donna è spesso destinata esclusivamente alla cura della casa e della famiglia a causa di una carenza dei servizi statali a cui la donna deve sopperire. Il numero di esse che riescono ad accedere a tutti i livelli di istruzione ed in particolar modo all’università è molto ridotto in confronto ai coetanei maschi e questo limita la loro lotta per rivendicare i propri diritti. Questa situazione di dipendenza dal padre prima e dal marito poi si riversa anche all’interno dei rapporti tra sessi, dove frequentemente si verificano violenze e in caso di denuncia le vittime rischiano l’esclusione dalla comunità oltre ai danni fisici ed al trauma psicologico.

Nel 2000 la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite ha posto degli importanti obiettivi di sviluppo che impegnano la comunità internazionale al raggiungimento di alcuni traguardi: lo sviluppo e la riduzione della povertà entro il 2015, un implemento della scolarità e un’eguaglianza dei diritti tra sessi. 

Parlare della condizione della donna in Africa non è facile e l’argomento si fa ancor più complesso quando le realtà da considerare e da trattare sono tanto frammentate e diversificate. La sua condizione e il suo lavoro sono due cose che rappresentano in pieno la donna africana e non possono essere prese in considerazione separatamente. In Occidente il lavoro significa spesso emancipazione, realizzazione personale, autonomia e rivendicazione dei propri diritti, nei Paesi africani la questione diventa vitale, parlare di lavoro porta il discorso sulla vita stessa delle donne, il loro valore e la loro sopravvivenza.

Le loro mani invisibili, da sempre e silenziosamente costruiscono l’Africa, ne strutturano le fondamenta della società, sono forze doppiamente produttive perché come donna madre-nutrice e come donna produttrice il loro ruolo è, ovunque, insostituibile. Sono responsabili della casa e della famiglia, dell’educazione dei figli. Secondo degli studi della FAO tra il 60% e l’80% della produzione di cibo nel Sud del mondo è prodotto dalle donne, le donne rappresentano il 70% della forza lavoro nei campi in molti Paesi e il loro ruolo è sempre subalterno all’uomo e si devono occupare dei lavori non specializzati. Sono responsabili dell’approvvigionamento del 90% della fornitura d’acqua domestica e tra il 60% e l’80% della produzione di cibo consumato e venduto dalle famiglie. Sono coinvolte nell’80% delle attività di immagazzinamento del cibo e trasporto e nel 90% del lavoro richiesto nella preparazione della terra prima della semina. Questi numeri dimostrano come il loro ruolo sia cruciale e fondamentale nella produzione agricola di piccola e media scala, nella sussistenza familiare e nell’economia generale dei loro paesi. L’Africa sub-sahariana è una delle regioni al mondo in cui le donne lavorano di più e a tale forza economica non corrisponde, se non in minima parte, un potere sociale e politico. Le ore di lavoro di una donna  che vive nelle zone agricole possono arrivare a diciotto. La sua giornata lavorativa inizia all’alba e non termina finché ogni membro della famiglia non è stato nutrito e curato. Per quanto concerne il lavoro nei campi, ad esempio la risicultura in Africa occidentale è una delle attività che talvolta vede impegnate solo le donne, mentre nelle terre Peul è loro affidato l’allevamento; in generale le donne rappresentano l’80% della forza lavoro.

Negli ultimi decenni sono nate le donne dello sviluppo, ovvero coloro che consacrano il proprio tempo e le proprie risorse al miglioramento delle condizioni di vita di una comunità. Sviluppano dei progetti per il bene della comunità locale e propongono soluzioni a problemi collettivi e spesso forniscono beni e servizi pubblici al posto dello Stato. Sono un collegamento tra le istituzioni e la popolazione, un punto di riferimento per i concittadini. È necessaria una maggiore sensibilizzazione e capacità d’intervento da parte dell’intera comunità mondiale per aiutare l’Africa femminile nel suo cammino verso un’emancipazione innanzitutto umana ed intellettuale.

L’emancipazione di queste donne è un percorso ancora molto in salita: le barriere erette dalla tradizione stanno iniziando a cedere ma pesano e peseranno a lungo sulla mentalità africana e tanto può essere ancora fatto per quella che da sempre è l’invisibile spina dorsale del continente. La partecipazione istituzionale delle donne nella politica dei rispettivi Paesi è in crescita. Oltre alla politica le donne africane stanno ottenendo anche risultati nell’imprenditoria sociale, nei diritti umani. 

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ESSERE DONNA IN AFRICA

IL PROBLEMA DELL' ISTRUZIONE IN CONGO

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